Sessant’un anni, piccolino, capelli bianchi, parlata veloce, accento milanese, racconta di tre generazioni alle prese coi motori e con la vita.
Ottantanni della nostra storia visti dai maggiori, meccanici in milano.
La medaglia di Vermeil
“Mio papà era del 1904. Lui viveva in un paese dove non c’era niente. Abitava in Brianza e precisamente a Missaglia. Il papà ha avuto sempre il pallino della meccanica. E si è fatto una bicicletta di legno. Poi si è fatto delle moto con dei pezzi che ha trovato e poi pian piano è venuto a Milano nel ’22, e si è messo a lavorare con le moto, alla Bianchi. Ed è rimasto ben 46 anni alla Bianchi.
Ha fatto: prima il reparto moto, poi ha fatto il reparto collaudo. E poi è passato a fare il meccanico ufficiale delle corse in bicicletta. Da Olmo a Coppi. Infatti là c’è il diploma di mio padre che, non ti dico bugie ‘han premiato dopo 30 anni con la medaglia di vermeil”.
Lo Sport 14
Quando sono nato io, in casa mia c’era già quella moto che vedi li, quella Sport 14 di mio papà col sidecar. E io a otto anni guidavo quella moto li. Subito a 8 anni mio padre la lasciava giù, io arrivavo, io e mio fratello, perché io non cel a facevo a metterla in moto, e poi si partiva e si andava.
Tutti gh’aveen la bicicletta. E basta, Chi aveva una moto, a quell’epoca là, er aut signore. Specialmente la moto col sidecar, a quelle’epopca là era un signore. Te lo dimostra il fatto che mio papà ha litigato con mia mamma per quella moto lì. Quella moto costava 5600 lire, quando l’ha presa, nuova, e la Balilla costava 5500 lire. Litigare con mia madre, perché: ”No, la Balilla l’è piussè comoda, chi e là…. “e poi lù l’ha cumpgà la moto. A cinc mila e sescent lira, al post de spend cincilla cinccent della Balilla. Pensa te. Ecco a quei livelli lì.
Perché le due ruote ti dà più soddisfazione, più brio, più tutto. Innanzitutto sei all’aria. Seconda roba vedi di più, non sei mica dentro in una scatola. Le strade che tu fai in macchina oggi, tu le fai domani in moto, ti te dite: mi, chi, g’hu mai passà!
La prima moto che ho guidato era quella lì. Poi la prima moto mia-mia che ho guidato l’ho avuta a 15 anni. Che avevo un Bianchi Freccia d’Oro 185. Dalla fabbrica di mio papà. Cambio a mano e tutto il resto. E poi da li ciò avuto il Guzzino e poi il Galletto, poi c’è il BMW, e nel frattempo svariati Guzi, che lavoravo in Guzzi, avevamo lo sconto particolare eccetera, e via via, abbiamo sempre avuto la moto”.
“…’ndemm?”
“Le donne, piaceva anche alle donne, la moto. Solo che anziché andar su a cavalcioni come succede adesso, sei mettevano di traverso. Però venivano anche loro, tranquille, e tutto quanto. Fin quando non è nato mio figlio, in casa mia di macchine non ne è venute. Sempre andati con le moto, estate e inverno.
IO e mia moglie, i dieci anni prima che nascesse Eugenio, abbiamo fatto il giro di metà Europa, siamo andati due volte a Capo Nord, in moto, risalì al ’58, ‘59, ‘60, e non eran quelle moto qua, non era quelle strade qua, allora c’era tutta terra battuta, si andava via, da una parte c’era la valigia, dall’altra parte c’era la tanica della benzina.
Che anche in Ispana, per esempio, per il rifornimento più vicino, te duvet fa cinc cent chilometri e l’autonomia del serbatoio non era abbastanza allora tanica della benzina da una parte, valigia da quell’altra, e via andare, alla speranza.
Perciò, ne abbiamo fatta tanta di strada. E ho provato un anno, assieme a mia moglie, col BMW, a fare il giro, partire da Courmayeur, venire a Aosta, fare il Gran San Bernardo, il passo della Furca, passare vicino a Chamonix, partire da Aosta con 11 gradi sopra zero, con già 30 centimetri di neve, eh, pè a tera, e mi ricordo, con mia moglie siamo entrati all’ospizio che c’è su al Gran San Bernardo, dove c’è i cani, dove c’è i frati. C’era la stufa cilindrica, alta due metri, rossa da tanto che andava, mia moglie là davanti così non riusciva a sentire il caldo. Era tutta nera. Dal freddo.
Un grande amore per la moto. Mia moglie, delle volte, di notte mi svegliava: “ndemm?” E andavamo. Per dirti le cazzate, ci alzavamo la domenica alle cinque, andavamo a Trieste a mangiare il pesce e alla sera eravamo a casa. Quei livelli lì. Io i primi anni di matrimonio con mia moglie ho fatto una media normale di 60, 70.000 Km in moto. Infatti le davano la colpa, che non restava in stato interessante, la davano alla moto”.
In Guzzi
Guarda, io in Guzzi mi son trovato benissimo. Sono entrato, come ti dico, che avevo 14 anni. E sono andato subito in Officina come Riparazione. E lì mi son sempre trovato bene. Sempre a Milano. IO andavo avanti e indietro a Mandello, ma ero a Milano. Non c’era ancora De Tomaso, non c’era ancora quella gente lì, ecco. Era proprio Guzzi Guzzi. Vero Guzzi. Era gente molto appassionata di moto, cordiale, sia il pubblico che la maestranza Moto Guzzi. Gente affidabile, che veniva in Officina a parlare con noi che si lavorava, e certe modifiche per esempio che il disegnatore non le faceva, noi lavorando le abbiamo detto: “ Guarda che dove passa la matita, passa no la ciàf”, dovresti far così, così, e difatti son suggerimenti che li prendevano volentieri da chi esercitava la professione. Cioè proprio gente cordiale, affidabile, tu potevi dirgli tutto quello che più o meno ritenevi opportuno di dirgli e loro la accettavano e se potevano modificavano.
C’era un bell’ambiente, un bell’accordo, sia dal progettista che all’operaio. Fino al ’67, ’68, era così perché la moto era in progresso. Quando la moto ha avuto il calo, di conseguenza noi ci si guardava l’un con l’altro perché lavorare l’era quel che l’era. Infatti io son andato via dalla Guzzi perché in quel periodo lì han chiuso tutte le filiali e han raggruppato tutto a Mandello. E allora noi di Milano, che andavamo a Mandello, se c’era da fare dei licenziamenti, i primi a andar via eran quelli che venivano da fuori. E allora han dato un premio di anzianità a chi si sarebbe licenziato, e io mi sono licenziato. Licenziato e dopo due anni mi son messo per conto mio.
Un declino da far paura
Era successo che la moto aveva avuto un declino da far paura. Prima c’era quelli che la moto gli piaceva e quelli che la usavano per forza perché non potevano arrivare ad avere un altro mezzo. Poi c’è stato la famosa storia della cinquecento e la seicento, che ia tirava adrè e tutti in passà dalla moto alla macchina. Difatti dopo la cinquecento e la seicento la moto ha avuto un declino della madonna. E poi solo nel ’70, quando sono arrivati i giapponesi, allora pian piano è ancora progredita. Ma tutte le fabbrichiate che c’era, han chiuso tutte. Prendi la Mondial, ha chiuso. Prendi la MV, reparto moto, ha chiuso. Prendi, non so, per dirti, la Mival ha chiuso. La Rumi ha chiuso.
Eugenio, il primo motorino, sai quanti anni aveva? 3 anni e mezzo. A 3 anni e mezzo Eugenio aveva il primo motorino. Il primo Gipsy, monomarcia, elaborato perché andava come un treno. Faceva i 4 anni a dicembre e io per agosto gli ho regalato il motorino. Fai conto te. Io con passione ho seguito le orme di mio padre, Eugenio con passione ha seguito le mie e adesso va avanti lui. Cioè noi ci siamo tramandati proprio il mestiere l’uno con l’altro, però andando avanti non si sà come andrà a finire”.
Cosa ci vuole
“ Ci vuole passione. Ci vuole tanta capacità e tanta passione. E tutte le cose vanno fatte con la testa e il martellino. Le mani è tutto. Però è la testa che deve ragionare. E per determinare lavori ci devi studiare sopra come van fatti, nel migliore dei modi senza rovinare niente. E’ tutto lì. Solo che adesso è tutta roba elettronica e di conseguenza devi avere dei banchi prova, devi avere degli attrezzi speciali, costosi, per poter arrivare a determinate riparazioni. Una volta invece no. La puntina può lasciarti in panne. L’elettronica se va, va. Quand la brutta, te se fermet. Chiuso. Gh’è più nient de fa. Capisci, là, in mezzo al deserto, te se mettete a scifi i cartulin. Per esempio a me è successo sul vecchio BMW di rompere la molletta delle puntine, e l’andava pu. Con la forcina dei capelli di mia moglie ho fatto la molletta delle puntine e sono venuto a casa. E hai girato ancora sei mesi prima di cambiarla. Adesso faccio i restauri. Anche quella è una cosa che fai per passione, perché torni indietro, torni indietro di 40 anni. Fai i lavori che facevi 40 anni fa, farli ancora adesso è uno insomma che ha passione. E’ che le moto si possono restaurare. Num, invece …. g’è niente de fa. E’ un modo per restare giovani, dicono”.
Addio sidecar
“Io niente gare, Solo turismo, Ti dirò, trismo perché a me è successo un fatto piuttosto grave, ho perso mio fratello di vent’anni, in moto. E’ uscito di qua all’una, e all’una e un quarto non c’era più. Incidente, in piazzale Brescia. Era in strada alla una del pomeriggio, lui e il tram. Lui non ha investito il tram. Il tram ha investito lui e l’ha fatto secco. E allora sai, ho avuto un momentino…. io avevo 22 anni, avevo cominciato a fare gare col sidecar su piste di sabbia, e di carbone, io con un certo Galbusera di Brescia, e forse avrei proseguito a fare ‘sta cose qua. La morte di mio fratello e cosi via, e allora … ho smesso. E di fatti ho dato il motorino presto a mio figlio eccetera, per combattere un po’ la sfida. Hu pensà, han mia tutti destino a fa quella fin li…. Infatti han no tutti destino, però ho perso mio padre, anche lui in moto, mia moglie l’ho persa in macchina, cazzo, e allora, dico, un dato momento, proprio una sfida così, non c’è due senza tre, il tre è successo e adesso….. basta”
Mi piace aprire
A me la moto piace. Ancora adesso, ancora adesso, che ne ho 61. Infatti mio figlio dice “ Ah, te…?”, perché io tiro ancora fuori il mio Guzzi, l’850, l’ho tirato fuori, quest’anno, perché l’Honda l’ho venduta, avevo l’Honda da enduro l’ho venduta, e adesso c’è rimasto quel Guzzi lì così, e adesso faccio il bollo e poi, a primavera, mi el tiri fora. Mio figlio, l’Eugenio, si preoccupa perché vedi, io ciò un brutto difetto, che è questo. Quando son giù dalla moto son l’uomo più calmo della vita. Quando salti su in moto sunto un disaster. Mi piace aprire e di conseguenza, naturalmente, i riflessi che avevo trent’anni fa, pur avendoli anche adesso, i riflessi, abbastanza buoni, sono quelli di uno che ha 61 anni. Una volta i uciai i portavi no, Adès porti i uciài perché certi ostacul, prima i a vedervi a du chilometri, adès i a vedi a du meter!
Ma no, infatti, adesso vado su, vado in moto e mi devo dire: stai calmo, e riuscire a dominare…. di star calmi. L’eugenia s’ncazza perché io dico: se in moto picchio, se io picchio in moto devo morire. Devo morire perché la mezza misura non ci dev’essere. E lui ha paura per quello, solo per quello”.